Partiamo da una premessa terminologica. Fare storytelling non significa semplicemente “raccontare storie”. Si tratta infatti di una strategia che consiste nel comunicare attraverso dei racconti.

Mentre la nostra concezione di “storia” implica il susseguirsi di cronologie, un insieme di fatti accaduti ad un individuo o ad una comunità in un determinato contesto spazio-temporale, quella di racconto va ben oltre la semplice narrazione di eventi.

Per racconto intendiamo una rappresentazione che sfrutta il sistema percettivo (attraverso simboli, icone, testi, reazioni psico-fisiche) per trasmettere una specifica visione del mondo.

Ma perché raccontare è così importante? E perché farlo è diventato centrale nella comunicazione di marketing?

C’era una volta…

Storytelling: molto più che raccontare storie

Anzitutto l’esigenza di raccontare viene prima della scrittura. La cultura orale è stata tramandata attraverso i miti, le favole, i proverbi.

È attraverso i racconti che diamo senso all’esperienza, che riusciamo ad trasformare le routine quotidiane in momenti degni di essere ricordati.

Ma  ci sono alla base anche ragioni di tipo psicologico. Il nostro cervello è predisposto a organizzare in una struttura narrativa, il caos di eventi e di stimoli ai quali è continuamente sottoposto.  È dunque programmato  per attribuire significati agli input che riceve e questa tendenza innata è rafforzata dal fatto che siamo abituati, fin da piccoli, ad ascoltare e raccontare storie.

Se ci pensiamo, nella nostra vita, non facciamo altro che raccontarci. Il racconto delle nostre esperienze, dei nostri pregi, dei difetti, definisce non solo chi siamo in senso riflessivo ma ha anche una importante funzione sociale perché ci permette di comprendere gli altri.

Le storie non sono solo banalmente dei diversivi attraverso i quali scappiamo dalla realtà ma anzi delle proiezioni di scenari ipotetici che facilitano la lettura del mondo  circostante.

Storytelling e Marketing: un amore a prima vista

Nella definizione proposta da Andrea Fontana, sociologo della comunicazione esperto di dinamiche di narrazione nel business, fare storytelling significa dare vita ad un universo narrativo da parte di un soggetto autore (sia esso una marca, un prodotto o una persona), che invita altri soggetti (consumatori, lettori, clienti ecc.) a partecipare ad un destino.

L’aumento della complessità sociale si ripercuote anche sui significati e sulle aspettative connesse alle pratiche di vendita e di consumo: non si vendono solo dei prodotti ma anche i risultati, le idee, i  valori espliciti e quelli latenti.

Ecco perché lo storytelling marketing non si esaurisce più nel persuadere il consumatore spingendolo ad acquistare, ma deve innanzitutto mirare a costruirsi la sua fiducia, nel tempo.

L’acquisto è l’ultimo tassello di un processo che si articola in diversi step: identificazione, riconoscimento, coinvolgimento, condivisione.

Storytelling Marketing: le 3 fasi storiche

I beni sono sempre stati elementi di status, strumenti attraverso i quali comunicare la propria appartenenza ad un ceto o un certo stile di vita. Si possono individuare tre differenti fasi a seconda delle diverse epoche storiche:

  • La prima è quella del consumo di massa dalla fine dell’Ottocento alla fine della Seconda guerra mondiale. In questo periodo  il consumo è ostentazione e i racconti di questo periodo sono fiabe di status.
  • La seconda fase va dalla Seconda guerra mondiale alla fine del ‘900 e si caratterizza per una forte democratizzazione dell’acquisto dei beni durevoli (auto, elettrodomestici, televisori) e poi da una soggettivazione del consumo che diventa edonismo. Le storie che vengono raccontate in questa fase sono fiabe di vita.
  • La terza fase iniziata da alcuni anni e attualmente in corso, è caratterizzata da tendenze intimiste. Non  si  compra  un  prodotto/servizio  per sfoggiarlo, piuttosto si compra qualcosa per viverlo fino in fondo, godendo delle sue caratteristiche e dei miglioramenti che apporta.

 

Il terreno della competizione si è dunque spostato sulla narrazione. Si racconta per comunicare l’identità di un prodotto, posizionare un brand sul mercato, orientare l’economia o per difendersi dagli attacchi. Ecco perché il punto focale di ogni narrazione è riuscire ad affermarsi e sopravvivere in un contesto altamente eterogeneo e competitivo.

Per fare storytelling è quindi indispensabile conoscere il contesto nel quale ci si muove. Individuare le problematiche, le paure, gli archetipi, i sogni, i desideri, i riferimenti culturali del proprio pubblico, comunicando in modo accattivante il proprio messaggio e la propria filosofia.

Un esempio di Storytelling Marketing

Lo spot della Barilla uscito in Aprile è un chiaro riferimento all’emergenza sanitaria che affligge il Paese da alcuni mesi.  A fare da narratore esterno prestando la sua voce è Sofia Loren, il testimonial perfetto per descrivere le bellezze architettoniche quali simboli della nostra identità.

Lo spot, con i medici e gli infermieri che lottano in prima linea e le saracinesche dei negozi abbassate, è una sintesi del nostro presente che però guarda già al futuro.

Storytelling Marketing: Target e Bisogni 

Per realizzare uno Storytelling efficace bisogna segmentare i pubblici individuando il proprio target di rifermento: le storie non sono fatte per piacere a tutti. Questo perché sull’impatto emozionale di un racconto incidono diversi fattori: il vissuto personale, il livello di istruzione, gli orizzonti culturali, i pregiudizi, ecc.

Così ad esempio nelle pubblicità dei profumi lo scenario e il messaggio diventano quasi più importanti del prodotto che non viene neanche nominato, al massimo è accennato o richiamato alla fine.

Perché lo storytelling di un brand sia efficace deve rispondere a dei bisogni specifici (secondo la categorizzazione proposta da Maslow) come quelli di identità e di appartenenza, per questo deve essere in grado di porsi a metà strada tra la tradizione e l’innovazione.

Le storie hanno successo (anche) perché sono prevedibili ma allo stesso tempo perché forniscono risposte sul futuro.

La prima motivazione, spesso inconscia, che spinge una persona ad appassionarsi ad un racconto, dipende dalla sua capacità di coinvolgerla, proiettandola nella “trama”. Non vogliamo solo essere come il protagonista, vogliamo essere i protagonisti, vogliamo sentirci compresi.

La struttura narrativa per essere emozionante deve articolarsi attraverso una serie di elementi imprescindibili: soggetto, meta, azione e risultato. Ma perché il racconto diventi interessante deve essere improntato sulla drammaticità: qualcuno deve fare qualcosa ma c’è un problema bisogna trasformarsi per essere all’altezza del problema e risolverlo.

In questo schema il prodotto è semplicemente lo strumento attraverso il quale realizzare questo cambiamento.

Andando più a fondo, quello che sembrerebbe un progetto di vendita per attrarre un cliente, non è altro che un percorso plausibile che ci rassicura sul fatto che i nostri problemi sono anche quelli degli altri e anche quando sembrano insormontabili c’è sempre una soluzione.

Siamo solo spettatori?

Storytelling: molto più che raccontare storie

Tirando le somme, indubbiamente l’ascesa di questa modalità narrativa è stata facilitata prima ancora che dallo sviluppo tecnologico e dalla centralità assunta dalle immagini, da una visione del mondo che sottintende il progresso come prerogativa imprescindibile dell’essere umano.

La nostra storia non si ferma e ha bisogno di essere raccontata e fruita attraverso linguaggi sempre nuovi.

Alla luce di queste considerazioni sarebbe quindi semplicistico ascrivere lo storytelling ad una semplice strategia comunicativa che attraverso i racconti mira a coinvolgere ed emozionare dei clienti potenziali per spingerli all’acquisto.

Significherebbe ridurre le persone a fruitori passivi, spettatori che aspettano solo di essere sedotti e manipolati.

Però la costruzione dei significati non è un processo unidirezionale ma dialettico nel quale l’efficacia persuasiva di un messaggio si lega –nel caso dello storytelling- all’intreccio di storie condivise che sembrano le nostre e che concretizzandosi nel momento dell’acquisto, creano valore.

Un valore basato sull’idea di comunità, sulla capacità di emozionarsi  nel riconoscere che gli oggetti che compriamo non sono solo “cose” ma strumenti (pensiamo ad esempio agli smartphone) che ci aiutano a scrivere e immortalare le nostre storie.

“Le favole non dicono ai bambini che i draghi esistono. Perché i bambini lo sanno già. Le favole dicono ai   bambini che i draghi possono essere sconfitti.”

(GK Chesterton)

 

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