Rivisitazione, cambiamento, novità e rinnovamento: tutto ciò è sinonimo di rebranding.

Cosa si intende per rebranding? Un cambiamento strategico dell’identità di un marchio. Sinonimo di rebranding è “rinnovamento”: di nome, logo, brand identity o strategia di comunicazione. Un’azienda decide di rinfrescare la sua immagine o modificare il suo posizionamento sul mercato e il valore percepito.

Quando un’azienda sente la necessità di modificare la propria strategia di posizionamento sul mercato e/o ripensare la propria immagine, il cambio di direzione è sicuramente evolutivo e rivoluzionario.

Dalle modifiche meno percettibili a quelle più radicali, il rebranding è una mossa strategica e allettante, quanto rischiosa, che apre a nuove incredibili possibilità, ma non esclude nemmeno una possibile e iniziale crisi d’identità.

Tuttavia, alla base di ogni grande cambiamento, la crisi corrisponde anche ad un momento di  riflessione che, nella quasi totalità dei casi, porta alla svolta.

Se il risultato sia vincente o meno dipende da più fattori: primo fra tutti l’organizzazione e la pianificazione delle attività e ovviamente la motivazione, intesa sia come causa (perché si sceglie di fare rebranding), sia come spinta che porta al grande cambiamento.

Quaderno di appunti con disegni

Le 3 B di un marchio: brand, brand identity, branding

Partiamo da un presupposto: nessun brand è immutabile.

Affrontare il mercato e i consumatori porta sì a registrare successi ma essere pronti a un’evoluzione è spesso inevitabile. Scegliere il rebranding significa rivitalizzarsi in un mondo in continuo fermento.

Le più grandi aziende del mondo, nella loro storia, hanno avuto diversi momenti di rebranding, ovvero hanno rivisto il proprio brand. E questo le ha portate a migliorare il proprio posizionamento nel mercato, ne abbiamo già parlato anche in un altro articolo del nostro blog.

Partiamo dal concetto di brand e branding, ovvero dal processo che le imprese mettono in atto per differenziarsi, adottando un nome e segni/simboli distintivi, spingendosi sul mercato con l’obiettivo di creare la propria rete e/o community.

Il Brand

La legge sulla registrazione dei marchi risale al 1875 e permetteva alle aziende di proteggere formalmente i loro brands. Ma tutto ciò che ha un nome e un logo non è detto che sia un brand.

La promozione televisiva permise la distinzione dalla concorrenza, mentre è con gli anni ‘50 che, grazie allo sviluppo del brand management, i marchi iniziarono a “parlare”: non solo mostrando i propri prodotti sottolineandone i benefici, ma anche raccontando storie.

Oggi il brand è:

  • il nome che rimane nella mente del consumatore, per associazioni mentali, valori comunicati e condivisi, promesse
  • il prodotto che porta beneficio funzionale ed emotivo risolvendo una necessità/un bisogno
  • l’idea che innesca fiducia e desiderio

Insomma un brand è qualcosa che porta con sé valore, coinvolgimento ed è in grado di creare una community di persone che in esso credono e si riconoscono.

Un marchio è l’insieme di aspettative, ricordi, storie e relazioni che, presi insieme, rappresentano la decisione di un consumatore di scegliere un’azienda, un prodotto o un servizio rispetto a un altro. Se il consumatore (sia esso un’azienda, un acquirente, un elettore o un donatore) non paga un “premium”, non fa una selezione o non diffonde la parola, non esiste alcun valore di marca per quel consumatore”.

Nella definizione di Seth Godin c’è tutto quello che oggi possiamo definire come brand: un insieme di percezioni che il consumatore ha di un’azienda, un prodotto o un servizio.

Brand identity

Cosa si intende per brand identity?

È il passo successivo. Da un logo o marchio il brand sviluppa una propria personalità che ricalca i valori aziendali ed è in grado di comunicarli alle persone, con stile e tono di voce propri.

La brand identity è l’identità del marchio, come esso appare e si sente, i suoi valori, come parla alle persone e come le fa sentire.

Tuttavia, manca ancora un passaggio: se gli elementi tangibili di un marchio (logo, colori, simboli, font) fanno l’identità di un brand, non bastano però per crearla. Il processo che dà vita alla sua identità è il branding.

Branding

Convertire un’azienda, un prodotto o un servizio in un brand dà al marchio un significato, in modo tale che esso possa trovar posto nella mente di potenziali clienti.

Fare branding è dunque la strategia che l’azienda adotta per aiutare i consumatori a trovare, scegliere e sperimentare la propria attività di fronte a quella dei concorrenti, con l’obiettivo finale di attrarre, mantenere e creare comunità di clienti.

Cosa si intende per rebranding

Ma la vita di un brand non finisce certo qui! È proprio a questo punto che la sfida si fa più audace, di fronte a un mercato in perenne evoluzione e che costringe le aziende a sfidare la propria identità, fino a sconvolgerla nel profondo.

Quando un brand vive una situazione straordinaria in casa propria, conseguenza della quale sente di non poter continuare a “vestire i panni” di sempre, ecco che darsi un abito nuovo e un tono diverso diventa un’esigenza e una sfida.

Rinnovarsi però non significa “solo” modificare la propria immagine estetica: il cambiamento, se avviene, è radicale e coinvolge tutti i soggetti parte della comunicazione.

Il marchio, i concorrenti, i processi, tutto ciò che era e sarà la vecchia e nuova relazione di mercato dell’impresa affronta un vero e proprio processo di modifica che riguarda alcune (tante) sue caratteristiche.

Persone lavorano insieme ad un progetto con fogli sparsi

Quanti e quali tipi di rebranding?

Ogni brand ha vita propria e come per ogni cosa che esiste e vive la propria realtà trarre delle linee guida che lo riguardano è solo parzialmente esemplificativo.

Tuttavia possiamo distinguere alcune tipologie di rebranding, distinte per punti di partenza (cause) e di arrivo (obiettivi).

Tra rebranding evolutivo e rebranding rivoluzionario c’è differenza. In entrambi i casi non è una decisione che si prende facilmente perché il rischio di creare confusione nel consumatore esiste.

  • evolutivo: cambiamento di natura più superficiale, legato quindi a componenti più estetiche (logo e visual: colori, lettering…)
  • rivoluzionario: cambiamento più profondo che dà una svolta ai valori e al posizionamento sul mercato (e che è in relazione con competitor, stakeholder, clienti…)

In entrambi i casi il guadagno è enorme: il brand acquisisce vita nuova e quindi nuovi stimoli.

Ma esiste un’ulteriore differenza.

Si parla di rebranding attivo/proattivo quando l’azienda affronta il cambiamento come un’opportunità di crescita. Questo dapprima attira l’attenzione di nuovi potenziali clienti e l’aggiornamento che ne consegue porta il brand a identificarsi nuovamente anche con i clienti storici e fidelizzati, per far emergere la propria identità al passo con i tempi. Tutto ciò significa innovazione, ma anche rafforzamento del rapporto con il proprio target di origine.

Nel caso di rebranding reattivo invece l’azienda si adatta agli eventi e alle esigenze del momento, che inevitabilmente portano a dei cambiamenti interni non evitabili, ma che possono essere motivo di crescita. Per esempio una fusione o questioni di ordine legale da affrontare inevitabilmente qui e ora.

Tutto ciò dà il via a una serie di adattamenti.

Anche le evoluzioni del mercato e la crescita dei competitor impongono a volte a un brand di cambiare rotta, con il vantaggio di migliorare la percezione che i consumatori hanno dell’azienda stessa.

Un’organizzazione disposta a mettersi in discussione acquista punti agli occhi dei consumatori.

Come comunicare il rebranding

Comunicare il rebranding, renderlo noto e pubblicizzarlo è una mossa altrettanto importante.

Il consiglio è, esattamente come per tutto il processo di cambiamento, affidarsi a qualcuno che non coinvolto direttamente può organizzare la strategia comunicativa, osservarne l’impatto e gestire ogni imprevisto. Il contatto con il brand è comunque essenziale.

Come gestiamo la comunicazione di un rebranding?

Di solito prevediamo un annuncio formale che pubblica sui canali principali del brand cliente gli obiettivi e le ragioni del cambiamento, dando inizialmente visibilità agli elementi più essenziali: nome e logo.

Questa prima attività, oltre a rendere pubblica la scelta del marchio, deve anche rassicurare i suoi clienti su ciò che è stata la strategia, l’obiettivo e l’esito. La nuova identità non influirà negativamente in alcun modo sulla qualità dei prodotti e servizi.

Dopo l’annuncio formale segue l’implementazione del rebranding su tutti i canali di comunicazione a disposizione:

  • aggiornamento di tutto il materiale di marketing a disposizione secondo la nuova immagine aziendale
  • aggiornamento del sito web, e-commerce e blog
  • aggiornamento di tutti gli account social attivati

Contemporaneamente l’azienda dovrà muoversi internamente supportando l’agenzia di comunicazione. Per esempio modificando l’insegna del punto vendita con il nuovo nome e logo e chiedendo ai propri dipendenti di partecipare all’idea promossa dal rebranding.

E perché non organizzare un evento di inaugurazione aperto ai clienti?

Anche in questo caso il coinvolgimento può favorire la comunicazione del cambiamento con entusiasmo e partecipazione.

Conclusione

Dal nostro punto di vista parlare del proprio rebranding aziendale aiuta i clienti ad abituarsi alla tua nuova immagine.

Come farlo e per quanto tempo sarà la chiave per favorire l’accettazione e accendere l’entusiasmo, fondamentale in una fase di transizione, sia per chi la vive dall’interno, sia per coloro che ne sono spett-attori.

La comunicazione del rebranding è una grande opportunità da non perdere per far parlare della tua organizzazione e far brillare di nuova luce il tuo brand!

lampadina con illuminazione di scritta brand

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